Belphegor
Bondage Goat Zombie
2008 - Nuclear Blast Records
DAVIDE PAPPALARDO
03/06/2018
18:00 min
Introduzione Recensione
Torniamo nel nostro viaggio all'insegna del black/death metal più blasfemo e perverso, ai limite della parodia e della celebrazione di quanto è più tematicamente grossolano, e volutamente delirante. Parliamo dei Belphegor, pionieri austriaci della fusione di stampo europeo di suoni death metal ed elementi black, fautori di una serie di lavori dove tali elementi si accompagnano a connotati heavy metal e soluzioni accattivanti, tra assoli dal gusto classico e melodie di facile presa, almeno fino alla fine degli anni novanta. Ma facciamo prima di tutto il punto della situazione: nati nel 1991 con il nome Betrayer, con in formazione il bassista e cantante Maxx, i chitarristi Helmuth e Sigurd, e il batterista Chris, nello stesso anno pubblicano il demo "Kruzifixion", seguito poi dal secondo demo "Unborn Blood". Nel 1993 assumono il nome attuale con una nuova line up dove abbiamo Helmuth, Chris e Maxx , pubblicando il demo "Bloodbath In Paradise" e nell'anno seguente "Obscure and Deep"; i tempi sono quindi maturi per il loro primo full length, ovvero quel "The Last Supper" che metterà in gioco il loro stile a tratti selvaggio, a tratti più controllato e capace di offrire sorprendenti attimi di estasi sonora, pur ancora un po' acerbo rispetto ad alcune prove successive. Passano gli anni e i cambi di line up, e per quanto il suono dei Nostri rimarrà sempre ibrido, possiamo denotare una tendenza nel tempo a dare più spazio agli aspetti legati al black metal. Maxx lascia la band nel 1997, e sarà ora Helmuth ad occuparsi della voce, mentre dischi come "Blutsabbath" del 1997 e "Necrodaemon Terrorsathan" del 2000 affinano ulteriormente la loro formula, raggiungendo probabilmente il loro apice compositivo e di freschezza; se infatti i successivi "Lucifer Incestus" e "Goatreich - Fleshcult" manterranno alto il livello, pur non superando quanto fatto poco prima, essi saranno il canto del cigno dell'epoca d'oro del gruppo. Il successivo "Pestapokalypse VI" infatti incomincia a mostrarci una band che si è adagiata su una strada che ha capito portare successo e soldi, conformandosi al suono di colleghi quali Marduk e Behemoth, e utilizzando una produzione sempre più digitale e incapace di dare quella sensazione di furia sporca che invece caratterizzava i primi dischi. Forti comunque di una fan base fedele e di una serie di live impeccabili, che mostrano come in ogni caso quella sia la dimensione in cui i Nostri daranno sempre il meglio, i Belphegor fanno ormai parte della fetta più redditizia del metal estremo europeo e mondiale, come dimostra l'essere passati sotto l'ala della Nuclear Blast Records. Ed è quindi su questo filone, dopo l'ennesima rivoluzione di line up che vede il solo Helmuth come sopravvissuto, e l'arrivo del bassista Serpent e del batterista Torturer, che nel 2008 vede la luce Bondage Goat Zombie, grossomodo traducibile come "Caprone Zombie In Bondage", un album che non mette da parte le capacità indiscutibili del gruppo, ma viaggia totalmente con il pilota automatico, anche là dove il suono cerca di differenziarsi offrendo qualche sorpresa. Il risultato è un album che di sicuro non può oggettivamente essere definito brutto o inascoltabile, ma ben lontano da quell'energia e voglia di lanciarsi senza remore che rende inimitabili i lavori migliori dei primi fasti. Il pericolo più grande, soprattutto per chi già conosce il resto della loro discografia, è quello di poter prevedere l'evoluzione delle varie tracce, le quali seguono uno schema praticamente fisso, salvo ogni tanto prendere degli accorgimenti che possono dare un'identità propria ai singoli episodi, ma non certo stupirci o distrarci dal fatto che molti elementi vengano ripetuti per tutto il disco. Il songwriting è decisamente meno avventuroso, e la sensazione del mestiere è sempre dietro alle porte, consegnandoci un lavoro dal sicuro impatto commerciale, anche grazie all'influenza del death metal tecnico - forte, in quel period - ancora più presente rispetto agli aspetti più atmosferici e black del suono degli austriaci. Tematicamente, è ormai chiaro che ogni pretesa di prendere anche solo lontanamente sul serio i testi della band, è destinata a cadere nel ridicolo; abbandonata ogni anche minima serietà (pur cercando di essere seriamente scioccanti, almeno nelle intenzioni) ormai non c'è più nessuna remora nel mischiare scene da film horror splatter da serie z con farneticazioni pseudo pornografiche da adolescente, creando un ibrido non certo inedito, ma qui pienamente portato alle estreme conseguenze, tra continue orge sanguinolente, imprecazioni e blasfemia, ed immaginari che fanno sembrare i Dark Funeral dei poeti dell'arte oscura.
Bondage Goat Zombie
"Bondage Goat Zombie - Caprone Zombie In Bondage" è la title track che apre il disco, introdotta da campane a morto campionate e versi gutturali e deliranti; inevitabile l'esplosione di doppia cassa e chitarre a motosega, destinata a portarci al pezzo vero e proprio, una mazzata sottolineata da fraseggi algidi e vocals gracchianti. Il brano oltretutto è anche un'introduzione tematica all'immaginario che ormai dovremmo aver imparato ad aspettarci da parte degli austriaci: una consacrazione di tutto ciò che è infernale, un'evocazione dell'entità che dà il nome al disco, una sorta di personificazione degli interessi blasfemo-fetish, ennesima variazione sul Maligno. Ecco quindi che i loop massacranti si riproducono nei loro giri senza pietà, mentre Helmuth si districa con i suoi toni in screaming, accennando anche a cori e ritornelli. Bruciamo all'inferno in nome del regnante cornuto, mentre il cavaliere non morto cavalca veloce, ed adoriamo il diavolo evocandolo con il nome di Caprone Zombie In Bondage, e dando saluto al caos e a Satana. Le chitarre si fanno ancora più spietate, tra fredde dissonanze ed aperture ariose capaci di regalare anti-melodie malinconiche che amplificano l'effetto delle parole del Nostro. Giunge una cesura ritmata fatta di bordate ripetute e costruzioni altisonanti, completata da assoli che però non durano molto nella composizione; dopo il devasto caotico riprende la pioggia di colpi massacranti e riff ossessivi, così come la nera lezione del cantante. Rinasciamo tra le fiamme, ancora una volta nel nome del regnante cornuto, e riprendiamo con la nostra evocazione farneticante e piena di impeto: inevitabili gli innalzamenti epici e gli attacchi disorientanti con chitarre a trapano in pieno buzz. Nuovi cori, nuove fredde melodie, così come ruggenti vocalizzi gutturali che si concludono in una cavalcata pressante e maestosa, completata da scale di chitarra e doppia cassa spaccaossa, poi cesellata da una serie di bordate ritmate. Siamo quindi pronti per una finale corsa black, investita da alternanze con venti oscuri, parte finale del pezzo prima della conclusione improvvisa.
Stigma Diabolicum
"Stigma Diabolicum - Stigma Diabolico" non perde tempo in fronzoli o introduzioni, portandoci subito nel mondo dei Belphegor, fatto di suoni veloci, batterie dirompenti e chitarre dal gusto balck/death. Ecco dunque la marcia sonora composta proprio da questi elementi, portata avanti ad oltranza fino ad uno stop dove dominano fraseggi ronzanti, sostituiti poi da mitragliate marziali, le quali instaurano una parata sonora dittatoriale e potente. Prosegue il viaggio tematico dei Nostri nel regno della perversione blasfema, e di certo non si fanno remore o problemi nell'illustrare al mondo di cosa si parla: un ennesimo rituale per il diavolo, questa volta con accenni all'automutilazione e a scenari da sabba, prendendo a piene mani dal classico immaginario black della seconda ondata, e per una volta mettendo da parte le esagerazioni porno-gore in cui spesso cade la loro penna. Dopo la costruzione prima detta, si apre un turbine di chitarre in pieno buzz e vocals cavernose, adatte per i toni del pezzo; vi è così tanta carne, e così tanti diversi piaceri, mentre offriamo il nostro sangue in sacrificio al potere infernale, gridando per colui che vola più veloce delle aquile, ovvero il diavolo. Trame sonore con passaggi di chitarra dal sapore black ed aperture orchestrali epiche ci portano al ritornello maestoso: siamo posseduti e marchiati, mentre scarnifichiamo i segni del Maligno sulle nostre carni, diventando tutt'uno con esso. Doppie casse martellanti ed arpeggi pieni di pathos si uniscono fino alla cesura che lascia spazio a suoni ronzanti, preparatori per la ripresa della galoppata ormai familiare, anticipata da una serie di giochi tecnici di lasciate e riprese. Riecco quindi le tempeste sonore dissonanti e i versi ora gutturali, ora gracchianti; le streghe danzano avvolte nelle fiamme, mentre artigli demoniaci strappano la carne, e tre pezzi sanguinanti diventano vestigi della bestia. Si ripropongono le alternanze di poco prima, così come il ritornello sempre pomposo ed altisonante, scolpito tramite alcune alternanze di scuola tech-death applicate al suono ibrido dei Nostri. Ripetiamo come siamo marchiati e posseduti, uniti nella carne, spirito e sangue con il Maligno. Questa volta però dopo una cesura ritmata di batteria pestata, una sequela di arpeggi melodici e delicati si accompagna a cimbali cadenzati, portandoci con sé verso un'ultima iterazione del ritornello, più controllata ed evocativa, ma sempre sottintesa dal doppio pedale e dai rullanti di batteria. Ed è con una serie di alternanze di lasciate e riprese, e con un feedback conclusivo, che raggiungiamo il finale del brano.
Armageddon's Raid
"Armageddon's Raid - Saccheggio Dell'Apocalisse" ci accoglie con un inedito arpeggio anni sessanta, dal gusto progressivo ed ammaliante, qualcosa che non ci aspetteremmo dai Belphegor, e che potrebbe prendere contropiede l'ascoltatore meno smaliziato. Ma naturalmente, la mazzata sonora è dietro l'angolo, ed ecco quindi una serie di colpi duri di batteria e di chitarre tempestose, in un familiare attacco turbinante sul quale si stagliano poi fraseggi oscuri e vocals gutturali. Il tema principale del pezzo è dato dall'opposizione alla Chiesa e all'esaltazione della figura del diavolo, sconfinando in visioni apocalittiche di devastazione e distruzione. Si parla quindi ora della ribellione dell'uomo contro Dio, della falsa stabilità della Chiesa, un'illusione violata dal tempo, e della pestilenza del messaggio di Cristo. L'abilità da parte dei Nostri nel creare trame evocative nel bel mezzo di passaggi caotici è indiscutibile, e si fa materia portante mentre toni demoniaci si impadroniscono del cantato: "rest in peace" (riposa in pace) viene ringhiato, mentre di seguito una serie di digressioni di chitarra e di passi felpati di batteria instaurano una lenta marcia che si converte poi in una sessione ariosa sul quale viene giostrato un ritornello evocativo. I serpenti divini creano un trono di sacrilegio, inaugurando l'attacco dell'apocalisse. Doppia cassa, torrenti di melodie malinconiche e versi tra il gutturale e il gracchiante sono i mezzi ora usati per darci la cifra di un episodio che riprende un modus operandi che già ben conosciamo, e del quale ormai i Belphegor conoscono perfettamente i dettami, riproponendoli senza molta fatica. Una cacofonia sonica di chitarre squillanti e trame death dal gusto dissonante ci lanciano di nuovo nella mischia: il terrore è ora senza freni, e solo gli stupidi attendono per una risposta, i demoni strisciano sulla terra e la chiave è nelle mani del male, mentre le sue parole vengono cantate tra le fiamme. Si ripropongono i loop martellanti e i versi demoniaci, così come le digressioni rallentate e più atmosferiche, scolpite da galoppi da tregenda in doppia cassa e vignette ariose. Ecco che una cesura ritmata esplode in nuovi passaggi caotici dagli assoli dissonanti, scemando però subito in altre emanazioni emotive del ritornello portante, collimando in una corsa finale in doppia cassa e fraseggi neri. La conclusione è lasciata da una serie di giochi tecnici di chitarra e batteria, ripetuti con gusto death fino alla chiusura definitiva della traccia.
Justine: Soaked in Blood
"Justine: Soaked in Blood - Justine: Inzuppata Di Sangue" riprende nel nome del famoso primo romanzo di De Sade pubblicato nel 1791, una sorta di racconto-trattato che mostra l'idea del famoso marchese, secondo la quale la virtù non paga. Non si tratta comunque di una trasposizione in musica del tema del libro: qui lo spunto è legato solo all'incipit per la perversione e il sadismo, sprofondando subito in derive ben più porno-gore care ai nostri, tra deliri sessuali, mattanze, e vaghi riferimenti anti-religiosi. Insomma entriamo pienamente nelle derive più grossolane del mondo dei Belphegor, le quali ormai da diversi anni caratterizzano i Nostri, facendo parte integrante della loro immagine. Un panzer robusto e dal gusto thrash si dispiega con i suoi colpi potenti, delineato da alcuni riff circolari, e di seguito una serie di colpi ritmici scolpiscono il tutto: la marcia creatasi è massacrante, regalandoci sin da subito uno degli episodi più violenti e devastanti di tutto il disco. Helmuth ruggisce con toni cavernosi il testo, parlandoci di sofferenze indicibili e atti di perversione, tra richieste di urina e salvezza offerta tramite ferite da taglio e torture d'acqua, bondage e terrore sadico, in un sesso posseduto e psicotico. Le scariche nervose proseguono, in un'atmosferica tellurica all'insegna di bordate continue e suoni distorti, un continuo attacco a cui l'ascoltatore è sottoposto riprendendo la violenza lirica nella musica. All'improvviso ci si ferma con una cesura segnata da un fraseggio, e da un sospiro che chiama la protagonista del brano: ecco l'incipit per una sessione rallentata, fatta di arcate di chitarra e piatti cadenzati. Essa si apre poi a rullanti di batteria e chitarre pregne di fredda malinconia, mentre il cantante gracchia il testo; imploriamo di essere inzuppati di sangue, fottuti a pezzi, di essere cosparsi con i frutti della perversione, e della blasfemia, esaltando con sarcasmo la dea della purezza, una vagina incoronata. La trama black metal ha toni nordici, cozzando nella sua epicità con le parole pronunciate. Andiamo poi a perderci in una sessione bombardata da chitarre dissonanti e stridule, contornate da un drumming devastante e da assoli ben strutturati. Dopo una cesura ritmica marciante riprendiamo con il corso distruttivo, sempre dai toni belligeranti e perversi. La Nostra è senza Dio, leccata e sodomizzata, in un tripudio di ninfomania e sete di sangue, il suo ano chiede di più, mentre chiede di essere strangolata, o presa così com'è, poiché sarà dannata in eterno. I colpi secchi di batteria e le bordate si uniscono in una trama guerrafondaia, mentre decliniamo ancora dopo il sussurro su suoni ben più delicati ed ariosi, ripetendo il ritornello tra chitarre nordiche e cantato gutturale. La doppia cassa regna sul versante ritmico, mentre di seguito esplode di nuovo la parte più combattiva del brano, tra giochi di drumming e chitarre vorticanti, segnando al conclusone della traccia.
Sexdictator Lucifer
"Sexdictator Lucifer - Dittatore Sessuale Lucifero" prosegue sulla linea sadico-blasfemo-sessuale, dando ancora più risalto ai connotati satanici, ma sempre in un contesto perverso, dove vengono elencate pratiche sadomaso, delineandole come atti in nome di Lucifero, chiamo dittatore sessuale in un delirante connubio che non è certo inedito per i Nostri. Un bel riffing roccioso prende piede, dipanandosi con i suoi giri sferraglianti, delimitati da piatti cadenzati e versi libidinosi campionati, consegnandoci un'introduzione ben strutturata dai toni rock. Giungiamo quindi ad una sessione rallentata, sulla quale Helmuth assume toni gracchianti e maligni, cantando la sua perversa storia: frustata fino all'estasi, la lussuria non ha pietà, la manopola è strettamente sotto controllo, e viene anche praticata l'infibulazione per addestrare la schiava. I fraseggi grevi di basso sottintendono i tutto, fino ad arrivare all'esplosione del ritornello ruggente, dove cori altrettanto eruttanti contornano i versi del Nostro; la corda è potere, nel nome del bondage, e nessun grido giunge dall'altra persona. Trame thrash dal galoppo deciso dominano qui la scena, sconfinando poi in toni più ariosi, ma sempre caratterizzati da dinamiche altisonanti e dalla ritmica marziale. Il dittatore del sesso è il signore del tormento, e nella dominazione il sadismo non ha freni, invocando Lucifero, e non lesinando dettagli su ulteriori pratiche sessuali e perversioni. Il comparto strumentale è sempre dedicato a moti mutanti, rallentando anche con i fraseggi grevi, prima del ritorno della galoppata dalle sferzate di chitarra e dal drumming solenne. Viene ripetuto come la corda sia il potere, e come nessun verso giunga dalla schiava, continuando imperterriti a glorificare il bondage. Si ritrovano gli arpeggi appassionanti, così come i montanti ripetuti in un suono dal gusto classico, che ci riporta la primo suono dei Belphegor, arricchito da momenti presi dalla storia del metal, anche non necessariamente estremo. Assoli vibranti si uniscono ai versi lascivi, in una coda tecnica fatta di virtuosismi, destinata però a sprofondare in un'ennesima cavalcata da tregenda, e subito dopo nel ritorno delle parti ariose. Un'evocazione ripetuta ad oltranza, tra piatti cadenzati e passi felpati, reiterata fino all'improvvisa conclusione segnata da un ultimo verso, tra piacere e dolore.
Shred for Sathan
"Shred for Sathan - Riduci A Brandelli Per Satana" ci investe subito con un vortice black fatto di doppia cassa distruttiva e fraseggi freddi di stampo nordico, in uno stile veloce e violento che non può non portare in mente lo stile svedese e il così detto norsecore, tra nomi come Marduk e Dark Funeral. Un vortice nero nel quale sentiamo anche i versi sguaiati di Helmuth, anticipando l'esplosione delle parti vocali in un caos ancora maggiore. Il brano non è altro che la ricreazione di un'evocazione maligna, un rituale satanico volto al richiamare il diavolo, in una costruzione rituale non certo complicata, fatta d'immagini apocalittiche e mistiche. Una nuova era di fuoco che infiamma vede il capro cornuto combattere per il trono, portatore di luce e principe del potere, sigillo del sole. Il turbine continua ossessivo, in una dimensione decisamente spostata verso il lato più nero e freddo del suono dei Nostri, con doppia cassa e loop di chitarra lanciata a tutta velocità; ecco che la trama sonora si fa più controllata grazie a colpi cadenzati, ma sempre veloci, mentre i ruggiti del cantante continuano ad emanare la sua voce demoniaca. Fuoco, fulmini e tempeste si trovano sotto al segno del pentagramma, mentre noi facciamo a pezzi in nome di Satana. Incontriamo doppie casse in alternanza ai movimenti meno caotici, dandoci un movimento ben sentito, sigillato da alcuni assoli dissonanti che creano cavali sonici in una caccia selvaggia magistrale. Di seguito una cesura dai colpi potenti, un gioco di bordate ritmiche, ferma il passo prima della ripresa del movimento apocalittico, giostrato su nuovi attacchi spietati dai blast martellanti e dai riff segaossa. Uno spirito maligno, figlio dell'alba, è l'angelo caduto che si è rifiutato d'inchinarsi, il quale proietta la sua ombra sulla terra, sigillo del sole. Ritroviamo le alternanze di poco prima, tra galoppi controllati e sfuriate tempestose, ricreando per l'ennesima volta un immaginario sonoro che ben ricrea quello del testo, tra demoni e venti infernali che ci assalgono. Ed ecco che ancora una volta, sotto al segno del pentagramma, facciamo a pezzi in nome di Satana; la musica si da ad una cacofonia sinfonica, dove non mancano fraseggi gelidi e colpi come sassate, in un mantra oscuro che ci trascina con se fino ad un'improvviso stop, dove digressioni e suoni squillanti generano un feedback prolungato e rumoroso, un ruggito di onde negative, destinato a perdersi nel nulla, mettendo così fine al pezzo.
Chronicles of Crime
"Chronicles of Crime - Cronache Del Crimine" è un nuovo affresco tematico di perversione, sacrilegio, e violenza senza freni; in un immaginario non certo inedito, tanto per i nostri quanto per il metal estremo, e il black in particolare, un convento viene preso di mira da truppe demoniache, che portano stupro e morte, esaltandosi per la violazione nefasta della purezza e di ciò che è considerato come intoccabile. Dal punto di vista sonoro, troviamo movimenti death e qualche incursione black, in un impianto belligerante dai tratti colossali. Una serie di riff circolari introduce il brano, cesellati da alcuni colpi di batteria, mentre poi troviamo un'alternanza con doppie casse sparate, creando un movimento sonoro che porta avanti la processione malevola. I freddi suoni dissonanti si aprono quindi a chitarre dalla melodia malinconica e classica, con tanto di assoli appassionati, salvo poi tornare alle parti iniziali, preparando una potenza che si libra nelle doppie casse alternate ai movimenti di poco prima, con un continua cambio di scenario dal gusto tecnico, dal songwriting elaborato. Ed è così che dopo i soliti assoli, inizia il cantato gutturale di Helmuth, sottolineato da passaggi rocciosi, e alternato con strilli più aspri e di natura black metal; il tormento si aggiunge ad altro tormento, e le vittime vengono spogliate nude, la verginità viene spazzata via e la giovinezza prosciugata, liberando istinti che vanno oltre all'animale, in una notte dalla sofferenza senza fine, una filosofia del sacrilegio che si mostra tramite misfatti carnali, nella soffocazione delle neofite, in una cronaca del crimine. I passaggi principali vengono sottolineati dalle doppie casse, mentre le chitarre sono ora monolitiche, ora lanciate in tempeste dissonanti di buon effetto. Il ritornello vede una doppia voce maligna, coadiuvata da assalti sonori sempre sferzanti e pachidermici nella loro marcia oscura. Abbiamo un sacrilegio che va oltre all'eresia, una cronaca del crimine: ed ecco quindi una narrazione sonora all'insegna della tempesta martellante, e anche però di momenti più marziali, altisonanti e squillanti. Dopo alcuni esercizi vorticanti, tornano i passi iniziali, tra marce dalle vocals rauche, alternanze veloci, e movimenti sincopati dalla natura nervosa, destinati ad eruttare nel ritornello maligno; tormento su tormento, spogliate nude le vittime, viene dichiarato l'amore per il vizio senza compassione, e si da il via libera a visioni sanguinose, in un ciclo dalla legge brutale, che raggiunge tutte le dimensioni. Ancora una volta, nel ritornello panzer sonori e voci gracchianti ripetono di un sacrilegio oltre l'eresia, mentre la musica prosegue nell'unire parti lenti ed attacchi improvvisi in doppia cassa. Ecco che un giro rumoroso e alcuni giochi ritmici di pochi secondi fanno da cesura, poi seguita da nuove alternanze tra bordate sincopate e tempeste sonore stridule. Giungiamo così ad un assolo elaborato e dalle scale tecniche, sottolineato da parti più ariose, un elemento classico poi unito a marce thrash dal sapore decisamente nevrotico, dati i continui cambi di tempo, e dalle melodie "mediorientali" che portano in mente i Nile e certe avventure sonore dei Behemoth dell'epoca. Dopo un effetto stridente riprende il cantato in growl, narrandoci di conventi distrutti nel desiderio, di perversioni di sangue e brutalità primitive, con le vittime incatenate sulla ruota del fato. La traccia termine con alcune bordate in solitario, sulle quali la voce declama le sue ultime oscenità, tra crudeltà impresse in tormenti anali e nuove perversioni sanguinolente.
The Sukkubus Lustrate
"The Sukkubus Lustrate - Il Succubo Purifica" ci offre, per usare un eufemismo, un fantasioso connubio tra romanticismo sadomaso e temi infernali, proseguendo sulla linea ormai chiaramente intrapresa tra i diversi brani. Un fraseggio secco e solenne avanza, cesellato da piatti e cimbali cadenzati, lasciando poi spazio ad una marcia death pesante e contornata da vocals gutturali e stridule, che ci riportano all'ala più marcia e dai connotati doom del genere. Evochiamo il succubo dalle ali nere, mentre mani glaciali circondano la nostra gola, e il braccio di legno, il crocefisso, viene inserito, cavalcandolo. Ecco che sorprendentemente il cantato assume tratti operistici, con un'impostazione quasi da tenore (con tutti i limiti tecnici del caso), come in una rappresentazione teatrale: la vita altrui è nostra, andremo all'inferno insieme, siamo posseduti, e chiediamo di essere leccati, mentre sentiamo di essere freddi. Una chitarra dai loop taglienti, granitica, sottintende il tutto, mentre squilli creano parentesi sonore che ne incapsulano il passo. Ecco un'esplosione ariosa ed epica, sulla quale si stagliano voci rauche; chiediamo di essere buttati nell'inferno sadomaso, per assaggiare il peccato supremo. Suoni dissonanti e toni solenni si uniscono , mentre il cantato si da ad una sorta di duetto tra i due stili vocali. Eseguiamo il rituale del succubo purificatore, ungendo, leccando, adorando, eccitandoci e desiderando; intanto proseguono i toni operistici, doppiati con tendenze più aggressive, fino al cmabio di rotta con i ritorno dei penzer sepolcrali iniziali. Nuovi toni doom/death duqnue, con vocals che portano alla mente gli Autopsy o i Disembowelment: abbiamo piacere in un orgasmo bizzarro, pieno di romanticismo morto, e chiediamo che siano prese queste possenti ali, per volare insieme con Satana. Incontriamo quindi le evoluzioni non più inedite, tra vocalizzi operistici, galoppi di chitarra serrati, e passaggi verso zone sonore epiche con cantato gracchiante, instaurando la cosa probabilmente più vicina ad una ballad nel disco, pur con tutti i distinguo del caso. Si ripropone dunque anche il ritornello con il duello vocale, sottolineato da campane gotiche e trame sonore fredde e malinconiche. Ecco che all'improvviso però il pezzo s'interrompe proprio sull'ultima parola, concludendo poco prima del terzo minuto questo episodio, in maniera abbastanza inaspettata. Una traccia abbastanza sperimentale, ma che ha alcune ripetizioni che ne rendono al struttura meno raffinata rispetto a quello che poteva essere, e rispetto alle capacità mostrate in passato dai Nostri.
Der Rutenmarsch
"Der Rutenmarsch - La Marcia Della Verga" è il gran finale del disco, summa del discorso "filosofico" e musicale dei Belphegor: da una parte nuove blasfemia, riferimenti osceni e attacchi ai concetti cari ai cristiani, dall'altra epocali momenti metal dal piglio questa volta atmosferico e classico, in una sorta di evocazione solenne che adotta modi black e death evocativi. Campane a morto introducono un arpeggio delicato e progressivo, scolpendone poi il passo con colpi improvvisi, mentre una voce gracchiante narra con fare commemorativo la sua lezione; la morale è la vera calunnia e veleno della vita, ed ecco che vengono proferite oscenità riguardo al didietro divino, mentre le correnti dei suoi liquidi possono spegnere il suo bagliore, nato nella morte. Ora si apre una bella sessione dalle chitarre ariose e malinconiche, dal gusto inaspettatamente dolce e sognante, ricordandoci da una parte le ballad classiche del primo metal, dall'altra anche il rock anni sessanta. La batteria è cadenzata e controllata, anche se la velocità è media, concitata, ma non violenta. Il galoppo va ad infrangersi contro piatti sospesi e malìe di chitarra dai fraseggi notturni, creando uno strato sonoro sul quale s'intersecano brevi velocizzazioni e vocals solenni e sacrali, che suonano come derisorie dati i temi del testo: la ferita sente il bruciore delle fruste, mentre dei maiali lascivi grugniscono una musica infernale, mentre nell'oscuro circolo del flagello il nostro seme viene portato all'inferno. Toni cavernosi e aspri si alternano, mentre i moti circolari delle chitarre cambiano scena con i rallentamenti, in un songwriting black gelido che incorpora altri elementi in un suono ibrido. Uno stile che ben conosciamo, e che ora ci porta ad una campana improvvisa, seguita da vocalizzi sottovoce, feedback tesi e arpeggi sempre delicati, aggiungendo di seguito assoli progressivi che mostrano una tecnica che richiama i Belphegor più ispirati. Campionamenti vocali e suoni di frusta rendono ancora più esplicito il sottinteso sadomaso del testo, mentre la musica va a perdersi nelle nebbie, in un'unione inquietante di grida, lamenti, e linee sonore che rappresentano ben altri scenari. Ed è così che si conclude un brano che mette fine al disco con uno sfoggio di capacità che sappiamo essere dei Nostri, e che epr fortuna ancora, a tratti, mettono in mostra.
Conclusioni
Un disco che conferma ancora una volta lo status raggiunto dai musicisti austriaci, ormai più che una realtà consolidata, ma anche un nome che non sembra sentire di aver più nulla da mostrare, forte del suo stile e del suo pubblico, nonché della sua immagine esageratamente blasfema e perversa. Ormai allineati tanto con l'ondata di death tecnico alla Nile (non a caso suoneranno proprio con loro e i Grave al Hellfest Summer Open Air in Francia) quanto con il balck/death dei Behemoth e con il black svedese a la Marduk e Dark Funeral, contano un seguito in molte frange del metal estremo, forti in ogni caso di un'abilità tecnica che trova pienamente spazio dal vivo, da sempre dimensione più congeniale per il loro suono. Una fama che li porterà anche in America con gli Amon Amarth, amplificando ancora di più la percezione, confermata, di una band che appartiene ormai ad una propria dimensione che sta in un limbo, o meglio zona d'incontro, che le permette di associarsi a piacimento a band anche diverse da quelle seguite dalla scena black. Ma come detto precedentemente, non si può ignorare il fatto che, indipendentemente dal successo e dal riscontro di pubblico, alcune cose siano cambiate a livello di suono su disco; se una volta ogni loro pezzo era una possibilità di sorprese e variazioni inaspettate, ora sembra che i Nostri attingano in automatico da un taccuino che il fan della prima ora conosce, con uno stile che ancora si muove tra il black e il death, e anche gioca con elementi esterni, ma in un modo ben più convenzionale, spesso caratterizzando i brani per intero. Più quindi una varietà stilistica circoscritta ad alcuni episodi, mentre per il resto possiamo aspettarci chitarre a motosega, fraseggi freddi, e alternanza tra grida e growl, e il solito campionario di nefandezze e perversioni dal piglio adolescenziale-ribelle, ora in inglese, ora in tedesco. Un prodotto confezionato, anche bene, e in tutta onestà intellettuale, per l'ennesima volta, non possiamo dire che il disco sia oggettivamente brutto o suonato male. Ma la sensazione di pigrizia e di adagiamento su una formula è ben forte, tendenza già riscontrata da tempo e che andrà amplificandosi con il tempo. Risultano inoltre pacchiane certe scelte, come le pseudo-ballad con testi satanici e perversi, espediente già usato e con ben altro impatto in passato, mentre ora ricordano le bizzarrie dei Dark Funeral, e in generale è ormai chiaro che i Nostri vogliano giocare su ogni cliché possibile, andando pure a scomodare personaggi della letteratura "proibita"; certo è che questo non basta a condannare la loro musica, che rimane il mezzo principale e la loro espressione, ma viene da chiedersi se dopo anni la cosa non stanchi. E per quanto riguarda la musica stessa, se non mancano dei momenti esaltanti, è anche vero che in alcuni brani viene ripetuta ad oltranza una formula che viene ormai suonata ad occhi chiusi, collaudata da tempo. Certo, chi vuole sempre lo stesso dai Nostri è felice della cosa, ma ripensando all'evoluzione avvenuta fino all'inizio del duemila, non è strano non pensare ad un'occasione mancata. Inoltre, il bilanciamento tra death e black - ma questo succede ormai da tempo, va detto - protende ormai molto per il primo, togliendo parte di quella natura ibrida che rendeva i Belphegor qualcosa di affascinante. Insomma, il tutto è ben suonato, ma non sempre ciò che viene suonato mantiene l'interesse dell'ascoltatore, e può capitare di cadere nella noia; aggiungiamo anche che i livelli di furia del passato, a metà tra Morbid Angel egli esponenti più rabbiosi del black, sono ormai un ricordo, anche grazie alla produzione patinata, e ad un songwriting che offre sì attacchi, ma levigati e indirizzati all'ascolto di largo consumo. In ogni caso, come sempre, pubblico e critica apprezzano, anche se non mancano voci di dissenso, e ai Nostri non resta che proseguire per la loro strada, aggiustando la nuova formazione con il ritorno di Nefastus alla batteria, dando alla luce quel "Walpurgis Rites - Hexenwahn" che bene o male seguirà il solco qui tracciato, con uno stile che trasmuta il suono dei Belphegor in una chiave più "vendibile", o meglio sdoganabile al mondo "mainstream" del metal estremo. Prosegue quindi il nostro viaggio con i folli austriaci!
2) Stigma Diabolicum
3) Armageddon's Raid
4) Justine: Soaked in Blood
5) Sexdictator Lucifer
6) Shred for Sathan
7) Chronicles of Crime
8) The Sukkubus Lustrate
9) Der Rutenmarsch