PARADISE LOST

Gothic

1991 - Peaceville

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
10/01/2018
TEMPO DI LETTURA:
18:45 min
10

Introduzione Recensione

La parola "gotico" possiede tante sfumature direttamente connesse con parecchie epoche storiche le quali, in un modo e nell'altro, hanno condizionato la visione artistica dell'essere umano contemporaneo. Il termine originariamente fu coniato come aggettivo relativo alla popolazione dei Goti, provenienti dalla Germania (non parliamo certo Germania di oggi, è bene precisarlo; un vasto territorio decisamente diverso dal punto di vista dell'odierna accezione geopolitica del nome), autoctoni teutoni spesso considerati estremamente più "barbari" e selvaggi rispetto alle altre civiltà europee dell'epoca, come per esempio i Latini, che disprezzavano amaramente quelle popolazioni così distanti ideologicamente e umanamente dal loro modo di intendere la cultura ed il vivere civile. Il gotico affiorerà e apparirà nella sua magnificenza come una descrizione dell'architettura nel periodo fruttuoso del Rinascimento: in realtà non si riferisce prettamente all'architettura del Rinascimento, ma al precedente stile tedesco del XII e XIII secolo, respinto da molti e giudicato sempre come rozzo e barbaro, nonostante i suoi particolarissimi dettagli strutturali. Il termine divenne poi sinonimo di "denuncia" relativa ad un qualsiasi tratto medievale, sulla base del fatto che quella visione era arretrata e offuscata dalla superstizione e dall'ignoranza. Non ci fermiamo certo qui, il nostro viaggio continua: c'è di fatti l'arte cosiddetta gotica, che ruota attorno agli stessi concetti di base dell'architettura o anche la letteratura gotica, emersa parimenti ad una rinascita dello stile edilizio nel tardo XVIII secolo, caratterizzata da una forte relazione con la forma architettonica medievale e tempi più antichi e lontani. Le ambientazioni delle storie raccontate sono spesso raccapriccianti, strazianti e sinistre: si intrecciano in antichi castelli o monasteri, le trame si avvalgono di vecchi sistemi, come il sistema feudale (signori e contadini) e credenze religiose superate (streghe o magia nera, per esempio), che tendono ad esplorare lato oscuro dell'uomo e la sua abilità nel produrre male, il dolore e l'angoscia. Un piccolo incipit storico per giungere ad un discorso più prettamente musicale, in quanto questo termine è stato anche decisivo per decifrare un movimento che a piccoli passi iniziò a conquistarsi una grande fetta del metal degli anni '90. Stile che si rifaceva prettamente a tutte quelle ambientazioni oscure le quali i testi della letteratura decadente gotica propinavano all'impazzata, cupe atmosfere successivamente trasformate egregiamente in note musicali sofferenti nonché dense di pesantezza, quasi piangenti. Vi chiederete, or dunque, quando nasca esattamente questa nuova concezione della musica estrema, e soprattutto con quale gruppo. La band in questione, che diciamo si è avvalsa dell'aver teorizzato e sostentato questa nuovo corrente, sono i Paradise Lost, provenienti dalla caotica e industriale Halifax, in Inghilterra. Era passato solo un misero anno dalla pubblicazione del platter d'esordio, "Lost Paradise", disco che riscosse buone considerazioni dalla critica nonostante fosse leggermente ancora acerbo e di matrice underground, arricchito da tematiche ancora impregnate dal sangue death. Nick Holmes e compagni, con questo nuovo capitolo intitolato quasi inconsapevolmente "Gothic", erano comunque decisi ad affrontare un percorso non semplice; dato che, proprio come oggi, proporre un nuovo stilema significava andare in contro a tanti fattori. Il mondo metal si affacciava al 1991, una annata straordinaria dal punto di vista produttivo, che dava una ragione in piu ai nostri di comporre un disco all'altezza. "Gothic", come vedremo, si avvale di arrangiamenti più deliziosamente orchestrati (grazie alla collaborazione con la britannica The Raptured Symphony Orchestra) e da una spinta quasi melodrammatica con innesti a tratti sinfonici e con scorci riempiti da soavi voci femminili, elementi che riusciranno a creare pezzi i quali saranno poi colonna portante della discografia degli inglesi. Sta di fatto che questo platter rasenta il gothic grazie agli elementi riportati prima, ma non è un album "gotico" a tutti gli effetti: presenta ancora gli strascichi della pesantezza del death-doom del primo album, rendendo il tutto ancora "in fieri". Come vedremo, gli elementi innovativi di questo disco influenzeranno comunque le uscite discografiche degli anni futuri, rendendo "Gothic" un importantissimo crocevia, una pietra miliare. Ad oggi è una delle uscite più conosciute dei nostri e all'epoca colpì una grande massa di pubblico, suscitando reazioni entusiaste sia da parte dei fan che da parte della critica. La capacità di Nick Holmes di spaziare da vocals gutturali ad un registro leggermente più pulito, unite alle capacità tecniche di Gregor Mackintosh alla chitarra principale saranno il punto forte, la coronazione dell'intero lotto di tracce; ma l'intero quartetto darà il meglio di sé, come vedremo a breve, per rendere questo "Gothic" il disco imprescindibile che è oggi.  Ci sono pezzi da dieci e lode e altre tracks leggermente sottotono che però non andranno a minare la resa finale che è di grande livello. Con questi buoni presupposti non posso non augurarvi buona lettura! 

Gothic

Si parte subito con la title track, il simbolo concettuale dell'intero lavoro dei Paradise Lost. Sin dai primi scarsi accenni si intuisce che la pasta sonora a cui andremo in contro è decisamente differente dal primo platter. Un'aria di decadenza che tocca lo stile nero e freddo come una cattedrale romanica ti colpisce a più non posso, lo stilema dal sapore gotico entra senza se e senza ma nel sangue grazie soprattutto alla chitarra "zanzarosa" di Gregor Mackintosh che subito si spalma attraverso arrangiamenti molto più decisi, intrecciandosi a loro volta con partiture orchestrali. Siamo ancora sicuri di ascoltare i Paradise Lost... o si tratta incredibilmente di un altro gruppo? Non vi sono dubbi circa il fatto che in un anno ne siano cambiate, di cose; ecco però che l'aria grezza primordiale ritorna quando finalmente il nostro frontman Nick Holmes, assieme ai suoi grugniti gutturali, concede a noi ascoltatori un brivido profondissimo. Ad alternarsi ci sono i classici rallentamenti stile doom, che ormai sono un classico nel repertorio nel sound dei nostri, ma non è finita qui: è da sottolineare la grande prova di Mattew Archer, il quale di sicuro si ritrova a fronteggiare un diverso stile di drumming, ben domato grazie alle sue ottime capacità. Il batterista riesce alla grande, compiendo un lavoro magistrale. Verso il ventesimo secondo del primo minuto ecco che giunge al nostro udito una bella sorpresa: a fare da guest abbiamo la voce angelica di Sarah Marrion, la quale rende tutto più soave, distendendo notevolmente il clima. La Marrion si dimostra una cantante veramente ingamba, infatti risulta semplice notare come le sue vocals risultino agganciate alla perfezione sia con il drumming che con la chitarra principale, la quale tra alte e basse velature ritmiche risulta il vero motore del sound dei nostri. Dopo questa parentesi vocale femminile assisteremo ad una eterea alternanza dei due registri vocali: ed ecco qui emergere un po' il punto essenziale, la base futura o se vogliamo lo stereotipo del gothic, voce angelica e growl, dicotomia che trova in "Gothic" una delle sue prime forme. Il brano prosegue come una cascata, impreziosito da un solo semplicemente chirurgico di Mackintosh, che con la sua ascia disegna momenti memorabili, di una qualità immensa. Il nostro chitarrista dà il suo meglio grazie a fraseggi che trasudano di uno spirito neoclassico, sebbene questa parentesi duri poco, dato che le note agghiaccianti sparate da Holmes spazzano via il tutto catapultandoci in un terreno aspro e desolato. "The light is dim before us/Shadow sappear and fall/A barrage of savage ways/Only the darkness can filter through" (La luce è debole davanti a noi/Le ombre appaiono e cadono/Una raffica di  violenza/Solo l'oscurità può filtrare): in queste poche parole, dense comunque di gran significato, quasi glaciali, sofferenti, è riassunto il modo oscuro dipinto dai nostri Paradise Lost, il modo in cui la compagine inglese intende macinare musica. Strascichi di surreale bellezza teatrale appaiono dopo gli interventi funerei di Holmes, che aumentano il livello. Dopo una ripresa delle tonalità iniziali, tutto si si spegne nella maniera più gloriosa possibile. "Gothic" è il pezzo simbolo, una perla di assoluta bellezza che ti trascina volente o non volente nelle atmosfere dark dei Paradise Lost. Una debole, fioca luce persa nella nebbia, simbolo di una speranza ormai vana e perduta per sempre. Danzano le ombre in maniera strana, caotica, decisamente inquietante. Cerchiamo di capire cosa stia accadendo, non riuscendovi più di molto. Il caos, la confusione, straniati vaghiamo in questo inferno, in questa tempesta oscura nella quale il sole non riesce a penetrare, lasciandoci dunque soli e disorientati nella notte. Oscurità, sempre e solo oscurità. Questo è il concetto di "gotico" espresso dal quartetto di Halifax, poeticamente e musicalmente. Cos'è l'uomo se non un essere costretto a vagare nel nulla, lungo le strade del suo miserabile destino?

Dead Emotion

Dopo le sensazioni ipnotiche provate con la title track "Gothic" ci immergiamo subito nel secondo tassello dorato dei Paradise Lost, "Dead Emotion" (Emozione morta). Già dal titolo ben chiaro ed eloquente possiamo notare il nucleo semantico di questo nuovo viaggio nei meandri del gothic metal: un'emozione morta è quasi da definirsi un puro controsenso, un ossimoro. Un'emozione non può morire, tale titolo va decisamente contro la definizione stessa di emozione, la quale è invece stoicamente ed antonomasticamente imperterrita, duratura nel tempo. I Paradise Lost, con questi giochi di parole, si dimostrano astuti e ben capaci anche da un punto di vista che va oltre l'aspetto musicale, disegnando una poetica particolare sempre incentrata sulla disillusione e sulla sostanziale incapacità di provare dolore o gioia. Talmente densa è l'oscurità da renderci ormai apatici, appunto incapaci di esser tristi o felici. Il brano, poi, inizia sicuramente con il proverbiale botto: chitarra che riscalda i primi secondi con riff fulminei, i quali si istaurano egregiamente con i patterns di batteria di Archer. Il pezzo ondeggia su alti e bassi con il vocione di Nick Holmes che non lascia spazio alla melodia. Quest'ultima sembra bussare alla porta di noi uditori quando Mackintosh ed il suo strumento giocano con assoli decisi e compatti, che ammorbidiscono l'intero comparto strumentale. Anche qui, come avvenuto in "Gothic", sono presenti cori e vocalizzi femminili esterni che si compattano magistralmente con i toni roboanti i quali aumentano con l'incidere degli strumenti. La produzione non perfetta, un po' in controsenso con l'idea musicale alla base del platter, riesce a enfatizzare ogni suono che si intreccia con le cadenze gutturali di Holmes, che in questa traccia rimangono ben assortite nonostante l'influenza death metal, le quali soprattutto verso gli inizi del secondo minuto si impossessano dell'ugola del nostro frontman. Nel corpo centrale del pezzo vengono riprese le ritmiche iniziali grazie alla perfetta calibrazione di chitarra-basso e batteria: il trio strumentale fa il suo dovere rendendo l'atmosfera a tratti eterea a tratti irrespirabile. Il clima orrofico torna alla ribalta quando il growl ritorna a farci compagnia, fino a che un solo shred della lead guitar ci fa vivere tredici secondi di pura estasi ultraterrena. La sublime emozione che abbiamo provato sulla nostra pelle viene spazzata via dal ritorno di fiamma dei tipici rallentamenti doom, comportandosi essi come Dei sulla nostra seconda traccia. Le soprese non finiscono comunque qui, nel misto calderone dei nostri, verso gli ultimi secondi, si inseriscono deliziosi adattamenti orchestrali i quali danno lo spunto per avviare la ciliegina sulla torta piazzata dall'instancabile Gregor Mackintosh, che colleziona un dirompente assolo, micidiale, anche da solo in grado di far scuola a generazioni di band; forse, la nostra mente/chitarrista in questo pezzo dona una delle sue migliori prove. "Dead Emotion" si conclude sontuosamente, si riallaccia alla perfezione creatasi con "Gothic" e fa capire agli ascoltatori di cosa sono capaci i nostri Paradise Lost. La perdita totale di ogni sentimento, la fine del concetto di emozione, la perdita totale di interesse. Un'emozione non può morire... eppur muore. Non ci resta che recarci alla sua veglia funebre, vedendola sepolta sotto metri e metri di terriccio, sforzandoci di versare almeno una lacrima. Cosa che, naturalmente, non avverrà.

Shattered

Le nostre orecchie sono ormai entrate appieno nel Paradise Lost sound, ma ricordiamoci che abbiamo solo iniziato a scavare la superficie di questo disco eccezionale, sinceramente fondamentale per il metal degli anni '90. La prossima traccia che ci attende riserva in sé un groove mostruoso e ipnotico, che sin dai primi battiti riesce a scalfire in maniera decisa i nostri timpani. La batteria di Archer impetuosamente si fa portavoce dei primi secondi di "Shattered"(Distrutto), terza traccia di "Gothic". Dopo l'ottimo intro non facciamo nemmeno in tempo a prendere fiato che il vocione rauco e grintoso di Nick Holmes spezza quel gioco strumentale che si era creato in precedenza: la voce del nostro performer, a differenza degli altri brani, appare abbastanza robotica e ovattata, e ovviamente nelle intenzioni vocali del nostro c'era proprio quella di creare "un'atmosfera nell'atmosfera". Le prime note scandite sono stoppate, verso il ventiseiesimo secondo, da uno scream feroce, una sorta di ritorno al canonico, che si spalma e si aggancia alla chitarra fumante di Greg Mackintosh. Proprio quest'ultima comincia a riscaldarsi regalandoci deliziosi sprazzi di assoli, i quali diventano via via più aspri e decisi. Le corde del nostro chitarrista sono l'autentico marchio di fabbrica, riescono nel difficile intento di farci rimanere incollati alle casse nonché in quello di non perdere mai interesse, decisi come siamo nel seguire ogni passaggio. Il silenzio di Holmes, in questo frangente, viene interrotto e il nostro, più astuto di prima, torna a rifilarci note malinconiche capaci di farci riflettere. Diciamo pure che una delle tantissime peculiarità dei nostri consiste esattamente nello spingerci a titubare, facendo sorgere in noi qualche dubbio, pensare e pensare ancora. Il tutto mediante versi densi di significato e carica emotiva: "Now as life is torn apart/The walls they lead the way/This tortured journey/Almost at an end" (Ora, proprio ora che la vita è stata distrutta, lacerata/ sono questi muri a guidarci, a mostrarci la strada/Questo viaggio torturato/Quasi alla fine)... dopo la lettura di questa frase non è poi difficile capire od anche solo intuire chi sia il "distrutto" preso in considerazione. Il protagonista potrebbe essere ognuno di noi, nel momento in cui ci sentiamo affranti e tutto il mondo ci appare e buio, congelato, privo di porti sicuri o riferimenti. Desideriamo solo sparire, terminare di provare quel dolore o quella sensazione di disagio. Lo schema iniziale riprende quota, l'assolo ampiamente distorto della lead guitar torna all'attacco indirizzando la traccia in discesa, e finalmente in questo spazio melodico notiamo la presenza del basso, che pare alle nostre orecchie più incisivo e graffiante. "Shattered" si spegne con un decrescendo significativo e marcato, che ci fa capire senza alcun dubbio il livello di questo disco.

Rapture

Se credevate le atmosfere e le inclinazioni doom perse di vista e lasciate in un angolo al proprio destino... con piacere vi comunico il vostro madornale sbaglio, amici lettori; poiché nella successiva "Rapture" (Rapimento) risulta ben evidente proprio un bel corposo impasto doom. Chitarra distorta e massacrante accompagnata da un doppio pedale ben calibrato dà quindi il via alla quarta traccia, che si preannuncia già succosa, densa ed importante, nei suoi cinque minuti abbondanti di durata complessiva. Dal trentesimo secondo in poi il clima oscuro degli inizi diventa più rapido grazie ai colpi di batteria di Archer e al basso che più o meno riesce ad incidere, indirizzandoci verso altri toni. Difatti, proprio quest'ultimo detta la strada fino a che, alla fine di questo fraseggio interessante di Edmondson, si innesca la voce proveniente dall'oltretomba di Nick Holmes, che ricorda un po' lo stesso  vocalist del primo grezzo "Lost Paradise". Ogni ruggito vocale è intervallato dall'ottima sezione strumentale, il nostro performer come sempre riesce a dirci quello ciò che vuole dire con una cattiveria intelligente e ben quadrata, ogni parola, ogni sussulto oscuro di Holmes rimangono impressi con noi per sempre. E non solo: i rallentanti stile death/doom sono capaci di non far perdere lucidità al pezzo, anzi danno sempre un motivo in più per seguirlo con attenzione. Con il passare dei minuti la violenza e la rabbia si centuplicano, ma nonostante ciò sono ben presenti sprazzi melodici che rendono protagonisti le pelli nonché la chitarra di Mackinstosh, la quale si aggroviglia maestosamente ad ogni urlo diabolico di un ispiratissimo Holmes. Lo strumento d'ora in poi dominerà per un minuto abbondante in questa "Rapture": la cosa che salta subito alle nostre orecchie non può non essere l'assolo veramente filiforme e quadrato della nostra chitarra principale, la vera arma da fuoco che detta i tempi generali dei nostri. Dopo questo breve preludio, sorge dunque un dubbio: avremmo mai potuto rinunciare al vocione magnetico di Holmes, rimasto in silenzio per un buon tempo, così in fretta? Difatti, ecco che dopo queste breve ma intenso assolo il frontman ritorna alla ribalta, con ora una impostazione vocale diversa, quasi come se egli fosse posto in lontananza rispetto agli altri. Come una cascata, il pezzo prosegue quindi spedito nei suoi secondi finali,scende e percorre i solchi già battuti in precedenza per poi spegnersi egregiamente. Un brano imponente caratterizzato da un testo semplice e stringato, in cui viene mostrata tutta la miseria dell'uomo. Un uomo destinato a soccombere, a morire per i peccati da lui stesso commessi e perpetrati. Si chiede perdono al Signore, si cerca un'intercessione divina: l'uomo è debole, nella sua infinita miseria ed ignoranza. Un essere che non merita il dono della vita ma che cerca comunque di redimersi, mostrandosi meno infimo di quanto non sia in realtà. Aneliamo la pace e l'armonia... eppure siamo - consapevolmente - da esse lontani anni luce.

Eternal

Cos'è l'eterno se non un qualcosa di imperituro e perenne, un qualcosa che nemmeno il tempo potrebbe scalfire mai, poiché incapace di contrastarlo? Cantata e lodata dai primi filosofi della notte dei tempi, ancora oggi questa semplice parola suscita in noi sensazione mistiche. Di eterno, anzi di un eterno dolore, il nostro gruppo inglese tratta nella quinta track, "Eternal" (Eterno). L'intro, affidato come sempre alla coppia Aedy/Mackintosh, risulta come sempre abbastanza distorto, amplificato dalla produzione non perfetta, ma adatta per farci entrare nelle qui abbastanza teatrali atmosfere del paradiso perduto. Oltre quaranta secondi di leggeri fraseggi arricchiti da sporadici assoletti sia di Mackintosh che di Archer dietro le pelli fanno risaltare gli arrangiamenti orchestrali, i quali non fanno altro che aumentare il livello di epicità: sono assolutamente straordinari, poiché non coprono il resto della strumentazione ma anzi la valorizzano al meglio. Dopo questi deliziosi spunti iniziamo successivamente a carburare: Holmes (anche se agli inizi si era già fatto sentire) entra subito nel vivo del pezzo, grazie ai suoi penetranti ruggiti, i quali sembrano andare molto d'accordo con il complesso orchestrale. Giunti ormai al primo minuto abbondante, il pezzo sembra esserci non conosce soste; ma proprio quando meno ce lo aspettiamo, ecco che la chitarra principale (grazie ad una modificazione improvvisa) elimina per un frangente la componente orchestrale catapultandoci sulla già nota faccia death-doom dei nostri: Archer ci dà dentro pestando il pellame a più non posso, rendendo i clima ancor più sulfureo degli inizi. Non temete, amici lettori, non respireremo zolfo opprimente per i restanti minuti... dato sì che l'orchestra si insinuerà di nuovo, proponendo di nuovo la stessa linfa melodica già goduta. Verso la metà del secondo minuto fa capolino un propagante assolo che distrugge letteralmente quanto fatto in precedenza, facendo sì che "Eternal" cambi direzione stilistica. Freddo, glaciale e magnetico, questo gioco di corde di Mackintosh risulta sempre abbastanza essenziale, una sorta di chiave di lettura per intendere la musica ed il testo dei menestrelli di Halifax. Urliamo straziati dal dolore, ora che per sempre rinunciamo a quanto di bello la nostra vita ci ha donato. L'onore, la gloria... tutto sembra perduto, per l'eternità. Un'eternità fatta di oscurità, di miseria, di tragedia. Per secoli interminabili, per un'intera vita ed anche di più, non troveremo la pace. Solo lacrime, solo strazio, fino ad arrivare ad una logorante, assurda apatia. Un'ultima cavalcata finale composta da deflagranti urlate e da plettrate decise dei nostri due, pongono il punto a questa bella e particolare traccia di "Gothic".

Falling Forever

Chitarre distortissime riescono magistralmente ad introdurci al meglio in questo nuovo capitolo sonoro. L'impasto iniziale è bello compatto, e nelle sue geometrie è matematicamente perfetto nell'allacciarsi alle casse di batteria, abbastanza decise e violente, che accompagnano le nostre attenzioni fino a che la chitarra principale (tra scalate rapide e discese perpetue) introduca un tenebroso "Falling Forever" (Cadendo per sempre) scandito magistralmente da Holmes, il cui fragore vocale è incastonato perfettamente nel contesto sulfureo in cui il tutto è inserito. Geniali sono gli stop e le riprese di ogni singola unità strumentale, contesto in cui primeggia il pellame d Archer, il quale riesce traslarci nel pieno del buio marchiato Paradise Lost. Tutto questo per una trentina di secondi fino a che la chitarra di Mackintosh riesce in una maniera eccellente nell'abbassare il grado di polverosità ,ovviamente coadiuvata dai ruggiti di Holmes, semplicemente inarrestabile in ogni frangente. Nella multiformità di Gothic forse questa Falling Forever risulta come la traccia più impregnata dal death-sound. Un'ovvia e netta influenza comunque non costante nel vulcano sonoro dei nostri, intravediamo sprizzi melodici impressionanti iniziati dagli assoli in primis, che in questa track hanno il compito di alleggerire il peso musicale, facendo comunque risultare il contesto ben compatto. Compattezza di cui "Falling Forever" giova, facendone il suo piatto forte. Al termine di tale momento, Mackintosh si toglie le vesti da macinatore di note e ritorna ad accompagnare il vocione cavernoso di Holmes. Il gusto melodico della nostra coppia d'attacco non smette la sua costruttiva attività, anzi: tra uno spazio "vuoto" e l'altro compone ancora rigorosi giri armonici. Il clima infernale degli inizi riprende vita verso i secondi finali, concludendo questa densa traccia, la sesta del nostro disco. Trascinati dunque dentro la follia, quasi costretti a ridere del nostro dolore, non potendo fare altro. Risate e reazioni isteriche accompagnano quindi la nostra discesa verso gli inferi, annegando noi stessi in un mare di tracotanza ed assurdità. Siamo pur sempre noi gli artefici del nostro dolore, delle nostre condanne. Forse dio avrà pietà delle nostre anime, dei nostri peccati; peccati nei quali viviamo e prosperiamo, quasi fossimo sin dalle fasce plagiati e dominati dalla nostra insana nonché ancestrale propensione a far del male, a sbagliare per poi compiacercene. Cos'è dunque la nostra vita, se non una caduta perpetua in un pozzo senza fondo?

Angel Tears

Dopo il burrascoso finale appena concluso, i nostri non potevano non inserire una traccia grintosa e diretta intelaiata su un gioco strumentale intelligente e dinamico. "Angel Tears" (Lacrime d'angelo) parte a mille con l'intero comparto strumentale indaffarato nel dare il meglio, mentre dopo l'impegnativa "Falling Forever", Holmes riposa per due minuti abbondanti. L'ascia principale subito parte sparata scandendo un riff di base semplice ma efficace, e con lei la batteria, che risulta veramente chirurgica in tutti i fill nonché nel tempo principale. Non poteva mancare però il rallentamento "stiloso" dei nostri, furbo e magnetico, il quale subentra verso il trentaseiesimo secondo, rallentando l'ottima velocita di esecuzione creatasi in precedenza. E tra un rallentamento e l'altro, la scena è in mano alla lead guitar, artefice e base del sound qui presente. Mackintosh realizza lunghi assoli assieme alla sua fida Gibson (cosa che tra l'altro riproporrà anche nella seguente track strumentale), momenti colmi di pathos che rendono queste "lacrime" veramente succulente.

Silent

"Silent" (Silente), la nostra successiva traccia, attacca violentemente con gli scream di Holmes già belli impastati sin dai primi secondi del brano. L'urlo del nostro, quasi come se provenisse da una grotta infernale, conferisce al pezzo una fulgida malignità, la quale è arricchita da un drumming impetuoso e colossale. Proprio le prime stesure di batteria sono perfette per far sì che la voce del nostro singer continui a mostrare tutta la sua potenza: "After all wars/We lie, as helter falls/The world is but hell/A place darkened out by time/Submit to the fall (Dopo tutte le guerre.../Mentiamo, mentre il rifugio cade/Il mondo è un inferno/Un luogo oscurato dal tempo/destinato alla definitiva caduta): non si possono provare sensazioni positive, aver letto queste frasi intorpidite dal veleno, annebbiate da una rabbia cieca che colpisce in una maniera profonda. Il mondo, la nostra unica casa, la nostra unica speranza, sembra anch'egli rivoltarsi contro di noi, in una maniera quasi inaspettata e appunto silenziosa. Una vita che dovrebbe proteggerci e coccolarci invece matrigna crudele, resa così esattamente da noi stessi. Guerre, conflitti, odio: siamo incapaci di amare, imbarbarendo per forza di cose anche il nostro porto sicuro, ormai grigio, desolato, battuto da venti gelidi. Sabbie e terra ricoprono i nostri sogni, la nebbia li congela, spaccandoli. Niente e nessuno potrà più salvarci, ce ne andremo miseramente... silenziosamente. In linea con quanto detto, in "Silent" i rallentamenti sono evidentissimi e sono la base di tutto: le due chitarre macinano ottime note fino a che Mackintosh prende il comando e inizia a stendere buone idee, su cui si adagia il vocione di Holmes che ora rasenta quasi il parlato, tutto questo verso la metà del primo minuto. In tutto questo spazio melodico emergono le ottime linee di batteria di Archer, il quale sembra comportarsi quasi come se fosse da solo in sala prove, improvvisando in maniera egregia. Da questo "silenzio" si ritorna a respirare zolfo quando Nick Holmes e il suo stile catacombale ritornano ancora più deliranti di prima. Ogni nota sparata presenta al suo interno quasi un "micro clima" fatto di disperazione, il quale fa sì che aumenti il tasso emotivo. Il pathos cresce con il procedere del brano, le chitarre zanzarose e ampiamente calibrate dominano letteralmente i minuti finali, quasi a rendere questa "Silent" un brano strumentale a tutti gli effetti. Da sottolineare è il delizioso lavoro della coppia d'asce, la quale rende strumentalmente perfetta questa traccia.

The Painless

Un'introduzione agghiacciante, accattivante, con un estro disperato ma coinvolgente colora i primi vagiti di "The Painless" (Indolore), che a differenza delle altre tracks accoglie subito i ruggiti di Holmes, i quali si insinuano egregiamente nel primo pizzicato duello della nostra interessante coppia di chitarre. Chitarre, tra cui la Gibson di Mackintosh, che si elevano a strumenti fondamentali per l'intera struttura melodica. Se Nick Holmes agli inizi aveva proposto solo un piccolo assaggio del suo talento col passare dei minuti, la tenebrosità aumenta in funzione dei ruggiti vocali del nostro performer. Allo scoccare del primo minuto il bagaglio doom aumenta a dismisura: partiture che ora sono lente e amalgamate alla perfezione, come i solo i maestri di questa branchia musicale sanno fare. Le soluzioni geometriche della leadguitar fuoriescono in un nuvolone fatto di urla agghiaccianti e sgomento, riuscendo a dare brio al tutto. Più che un assolo di chitarra questo è un canto di un usignolo, capace di rimanere tatuato dentro la nostra anima, senza chiedere il permesso, senza se e senza ma. La bellezza di questo brano un po' contrasta con l'intento del brano stesso: si parla di desolazione e morte interiore, condizioni che sì impoveriscono l'uomo ma che in un certo senso lo aiutano a ripartire più forte e sicuro di prima. Solo provando il dolore possiamo in qualche modo evitare di soffrire in futuro, un po' come un antidoto ad un veleno da crearsi con il veleno stesso. Provare per liberarsi, soffrire per potersi definite "immuni" qualche momento dopo. Un'immunità od una rovinosa apatia? Difficile a dirsi, poiché l'essere incapaci di provare gioie o dolori recano sì l'uomo allo status di "indolore", ma contemporaneamente inaridiscono ed impoveriscono la sua anima. Giunge successivamente una sorpresa: verso il secondo minuto entra in scena un'eterea femminile, che rende gradevole quest'ultima fumosa parte di "Gothic". Il fragore femminile, dopo alcuni tentennamenti iniziali, prende in pugno la situazione trasportandoci sinuosamente negli ultimi minuti, dominati anche dalle vocals terremotanti di Nick Holmes che concludono il tutto. 

Desolate

Per concludere al meglio questa release epocale, non c'era miglior soluzione che inserire nella traccia numera dieci una cupa e densa strumentale, "Desolate" (Desolato). Un clima mistico affiora nelle prime schegge iniziali, dove un trombone imponente ci accoglie, aiutato da leggeri tocchi di campana che rendono ancora tutto maligno e sinistro. Poi trombe ed elementi aggiuntivi di natura orchestrale si ammassano al sound leggero e onirico già incanalatosi in precedenza, non facendo altro che concludere al meglio "Gothic", il quale termina come iniziava, cioè regalandoci brividi perenni.

Conclusioni

Un anno solo era passato da quell'acerbo debutto ancora impregnato di un sound grezzo e nero come la pece. Proprio questo è il concetto che intendo rimarcare, effettivamente indispensabile alla causa che intendevo perorare parlandovi di "Gothic". Ovvero, l'immensa capacità di un giovane gruppo inglese di dimostrare subito, immediatamente, il suo immenso valore, la sua straordinaria capacità di maturare in un lasso di tempo incredibilmente breve. Non c'è da nascondersi né da negare, i Paradise Lost avevano dimostrato che in trecentosessantacinque giorni si poteva crescere sia da un punto strettamente musicale che da un punto di vista lirico (sebbene le compagini sorelle come My Dying Bride ed Anathema dimostreranno in questo campo una capacità maggiore rispetto ai nostri... ma questa è un'altra storia). La band si era resa conto di possedere qualità eccelse sulle quali, attraverso concentrazione e lavoro, si poteva ammassare un sound corposo e fuori dagli schemi. Dalle orchestrazioni all'aggiunta di vocals femminili, agli albori degli anni '90 i quattro di Halifax avevano consegnato al mondo metal una vera gemma preziosa, forse ancora non perfetta, ma degna di gettare nel terreno fertile dell'heavy metal nuovi stilemi, nuove idee che frutteranno col passare degli anni. Queste idee che furono, in un certo senso, anche molto innovative e geniali anche per i Paradise Lost stessi, che mai avrebbero immaginato successivamente di portare su di loro un grosso peso, da cui ne sarebbe derivata ovviamente una grande responsabilità. I tratti distintivi di "Gothic" sono in primo piano gli arrangiamenti, furbi e intelligenti nello scavare e nell'attirare l'udito di una nuova generazione che si affacciava ad una nuova modalità di impostazione sonora. La produzione e il mixing della "Peaceville..." non risultano certamente perfetti ma bastano per donarci quarantanove minuti di puro death-doom sound intriso da un innovativo tocco gothic. Un percorso fangoso fatto di dark e doom, fatto di alti e di pochi passi falsi, in cui ogni passaggio di questo nero sentiero è delineato dagli assoli del "vero" leader dei Paradise Lost, Gregor Mackintosh, colui che in un anno aveva perfezionato in una maniera allucinante le sue plettrate, sempre perfette in ogni punto di "Gothic". La chitarra solista ampiamente sottovalutata, dal mondo rock/metal in linea generale, è il punto cruciale nell'intendere il sound dei nostri inglesi. Assieme alla chitarra principale ci risulta ovvio sottolineare la morbosa attitudine di Nick Holmes, non perfetta in alcuni punti, ma ampiamente sistematica e ottimale nel rendere questo viaggio ancora più profondamente interiore; il cantante mostra in questo contesto le basi su cui poi ricamerà in modo decisamente migliore nei platter successivi. La coppia basso/batteria non sarà poi il massimo del virtuosismo, ma bastano le doti qui ampiamente mostrate per un genere come questo, dato che non bisogna essere funamboli per dettare i tempi in atmosfere sonore simili. A completare questo album impressionante è (come abbiamo già accennato pocanzi) l'aggiunta di voci femminili nei brani "Gothic" e "The Painless", così come il violino occasionale che funziona abbastanza bene e fa chiedere ai fan se i Nostri avrebbero fatto meglio ad osare incorporando di più di queste influenze nella loro musica. Dato che, ricordiamo, questa uscita (sebbene rivoluzionaria) non è da catalogarsi come gotica nel pieno del significato, ricalcando ancora - in un certo lievissimo senso - lo stile del precedente "Lost Paradise". Tra le tracce più significative ci sono la title track, Gothic, una delle più grandi canzoni mai composte dai nostri; inoltre, sottolineiamo anche una delle introduzioni di chitarra più importanti mai composte da Gregor, presente in "Rapture". Ed ancora i riff schiaccianti, la potente voce ringhiante e il violino melodico di "Eternal", il brillante strumentale "Angel Tears" e la stesso canzone di chiusura. "Gothic", in conclusione, è un disco che si assapora lentamente, sul quale necessariamente un ascoltatore deve porre tanta attenzione per apprezzarne ogni minino punto, ogni minimo istante sì denso di cotanta musicalità e maestria. Se, dopo tutto, questo disco ebbe tanta influenza come ben poche altre uscite... ci fu pur un motivo, non credete anche voi?

1) Gothic
2) Dead Emotion
3) Shattered
4) Rapture
5) Eternal
6) Falling Forever
7) Angel Tears
8) Silent
9) The Painless
10) Desolate
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